A distanza di quasi tre anni, non solo il morbo della peste suina africana non è eradicato, ma la zona rossa si è estesa ad altri comuni, lambendo la provincia di Cuneo, dove si trova il 70% degli allevamenti suinicoli piemontesi. Ad oggi, in Piemonte, sono state ritrovate ben 663 carcasse positive alla PSA e sono 163 i comuni inclusi nella zona infetta. Una minaccia enorme per l’economia piemontese, che da sola contribuisce per quasi il 9% alla produzione suinicola nazionale.
Nell’attesa di incontrare il nuovo commissario nazionale sulla Peste Suina Africana, il terzo in tre anni, l’odierna audizione con il commissario Giorgio Sapino e con gli assessori Bongioanni e Riboldi non ci ha rassicurati.
Da anni denunciamo l’insufficienza delle misure prese dalla nostra Regione per far fronte alla piaga della Peste Suina Africana. Negli scorsi mesi anche l’Unione Europea ha mosso precisi rilievi, inerenti al ridotto supporto finanziario, alla costruzione della recinzione, al ricorso ai tutor per gli abbattimenti dei cinghiali e ai ristori per gli allevatori.
Le misure di sorveglianza degli allevamenti suinicoli e di depopolamento dei cinghiali sono state evidentemente carenti; inoltre, oggi, uno dei tre distretti suinicoli piemontesi, quello di Novara, si trova al centro di un ampio contagio. Per ora, i distretti di Cuneo e Chieri sono indenni, ma temiamo che vengano anch’essi raggiunti dal contagio. I tre distretti coinvolgono 1.300.000 capi suini, di cui 900.000 nella sola provincia di Cuneo, e hanno un indotto complessivo di 4 miliardi di euro, molto rilevanti per il PIL regionale. Sono a rischio oltre 3.000 aziende piemontesi del settore suinicolo.
Oltre ai bandi per la biosicurezza strutturale degli allevamenti, occorrono misure formative per contenere il “fattore umano” che può essere vettore del contagio e, al contempo, occorre contenere maggiormente il rischio proveniente degli animali selvatici, considerando che tra il 2022 e il 2023 sono stati abbattuti circa 40.000 cinghiali, mentre l’obiettivo era di 50.000.
I prelievi di cinghiali sono ben lontani, quindi, dall’abbattimento pianficato, lo spostamento delle carcasse è lento e farraginoso, l’assunzione con fondi regionali di 30 agenti faunistici nelle province e Città Metropolitana è insufficiente, gli ATC e CA sono ancora troppo ingessati, i selecontrollori, i tutor, i chiusini e i recinti di cattura sono misure non sostenute in modo adeguato.
La situazione è drammatica e tanti, davvero troppi sono i ritardi e gli obiettivi mancati: sono i piemontesi e le loro attività a pagarne il prezzo.